
Incipit
«Il 24 febbraio, milioni di noi hanno fatto una scelta. Non una bandiera bianca, ma quella blu e gialla. Non fuggendo, ma fronteggiando il nemico, resistendo e combattendo. Ѐ stato un anno di dolore, fede e unità. E quest’anno siamo rimasti invincibili. Sappiamo che il 2023 sarà l’anno della nostra vittoria!»
(Volodymyr Oleksandrovyč Zelens’kyj, presidente dell’Ucraìna, Paese europeo sotto attacco da un anno. Alba del 24 aprile 2023)
Il simbolo come presagio
«Libertà è la parola più dolce del mondo». Questa frase, pronunciata dal presidente statunitense Joe Biden nella recente visita a Varsavia, davanti al Castello reale, al cospetto di una folla plaudente che sventolava le bandiere dei popoli occidentali impegnati a sostenere i confratelli dell’Ucraìna, è destinata a entrare nei libri di storia come simbolo di un tempo che ha sgretolato negli ultimi dodici mesi convincimenti pluridecennali: la pace eterna, sulla Terra, non esiste, non è mai esistita, mai esisterà. “Libertà”, urlò l’eroe scozzese William Wallace al tiranno che lo esortava a chiedere “pietà” per avere salva la vita, prima di essere impiccato1 e squartato. “Libertà” è il grido di battaglia che in ogni tempo anima chi si oppone alla tirannia. Richiede tanto coraggio combattere per la libertà, essendo molto più facile e comodo implorare pietà e sottomettersi all’invasore, come tante volte accaduto e come ostinatamente i vigliacchi disseminati un po’ dappertutto suggeriscono quotidianamente allo straordinario presidente dell’Ucraìna, che sta stupendo il mondo insieme con il suo popolo. Zelensky, esattamente un anno fa, esprimeva a Biden le preoccupazioni per il futuro, ben sapendo che era nel mirino dei reparti speciali russi, ai quali era miracolosamente sfuggito nel giorno dell’invasione2: «Non so se avremo ancora occasione di parlarci». Quattro giorni fa i due si sono incontrati a Kyiv e si sono abbracciati in pieno centro, davanti al muro delle vittime della resistenza ucraìna. La foto ha fatto il giro del mondo, toccando i cuori degli uomini puri, capaci di sbrogliare i troppi nodi gordiani del presente senza alcun bisogno della spada che servì ad Alessandro, a differenza dei “daltonici volontari”, che con disarmante leggerezza dividono tutto in bianco e nero, rifiutando aprioristicamente di addentrarsi nelle tante sfumature di grigio e di cogliere la reale essenza degli altri colori. Quel bianco e nero utilizzato anche dai “pacifisti de noantri”, che questa notte hanno sfidato il freddo delle colline umbre recandosi da Perugia ad Assisi preceduti da un cartello su cui era scritto, in bianco su fondo nero: “L’indifferenza è pericolosa! Fermiamo le guerre”, senza rendersi conto che non è con le marce della pace “neutrali” che si fermano i carri armati russi. Se proprio volevano concedersi una scampagnata notturna bene avrebbero fatto a utilizzare il giallo e il blu per scrivere i loro messaggi. Una foto, quindi, che si trasforma anch’essa in quell’elemento simbolico capace, come sosteneva Bachofen, di far vibrare le corde dello spirito, destando un presagio e surclassando le parole, che possono solo spiegare, perché solo al simbolo riesce di raccogliere nella sintesi di una impressione unitaria gli elementi più diversi. L’abbraccio di Biden, quindi, è l’abbraccio dell’Occidente al popolo ucraìno. Di quell’Occidente lacerato e diviso al suo interno a causa delle mille contraddizioni, delle quinte colonne al servizio dei tiranni per limiti culturali o lucrosi e cinici interessi, di una storia che ancora presenta ferite mai sanate e dei tanti altri motivi più volte sviscerati e qui omessi per amor di sintesi. Divisioni che, tuttavia, con buona pace di chi vorrebbe vederle ampliate a dismisura, proprio a causa della guerra in atto devono essere accantonate e superate, più di quanto non stia effettivamente accadendo, per evitare di essere travolti dall’orco russo. Il tempo della resa dei conti “interna” non è oggi, proprio come traspare in quella grande opera che racchiude il bene e il male, il bene che si dissolve nel male e il male cui talvolta occorre far ricorso per preservare il bene, grazie a quel re senza corona simile ai leggendari cavalieri di Camelot e quindi come loro non sporcato dalla Storia, che di fronte al nero cancello dal quale escono intere armate di orchi, esorta alla battaglia un pugno di eroi pronti al sacrificio, mille e mille volte meno numerosi dei terribili nemici, con parole che superano le barriere del Tempo: «Ci sarà l’ora dei lupi e degli scudi frantumati quando l’era degli uomini arriverà al crollo, ma non è questo il giorno! Quest’oggi combattiamo. Per tutto ciò che ritenete caro su questa bella Terra vi invito a resistere, Uomini dell’Ovest. Per Frodo!» Per Zelensky, direbbe oggi, ossia per colui che incarna il più pregnante simbolo della resistenza ucraìna, avendo realizzato uno stupendo miracolo geopolitico: ha compattato l’Occidente lacerato e diviso; ha reso il suo Paese un pilastro del mondo libero; ha smascherato l’imperialismo russo mostrandone il vero volto attraverso lo sguardo mefistofelico di Putin, novello Sauron che incarna il male assoluto. Da “presidente fittizio” nella fiction televisiva, realizzata per appagare almeno illusoriamente il sogno di cambiamento insito in milioni di connazionali stufi di essere governati dai corrotti servi di Mosca e desiderosi di sentirsi “pienamente europei”, ha trasformato il sogno in realtà, sublimando il ruolo con azioni che ci obbligano, volenti o dolenti, ad abbassare il capo al suo cospetto, sussurrando: «Chapeau». Forse la guerra sarà ancora lunga, ma lui l’ha già vinta essendo facile presagire che riempirà le pagine più belle dei libri di storia. Gli altri, i colpevoli e i collusi, occulti e palesi, sono destinati a perdersi nel tempo, come le famose lacrime nella pioggia di un celebre film.
Il ruolo dell’Europa
Non bisogna scomodare Machiavelli per accettare un dato di fatto inconfutabile: ipocrisia, mistificazione, cinismo spietato, inganno, accompagnano l’essere umano nel suo incedere sui sentieri terreni sin dai tempi antichi. Niente di nuovo sotto il sole, pertanto, anche al cospetto di un evento così chiaro nella sua drammaticità, da rendere oltremodo difficili le arrampicature sugli specchi ai tanti che, pervicacemente, si ostinano nell’impresa, come ampiamente dimostrato dalla cronaca quotidiana.
I simboli sono importanti, come abbiamo visto, ma se non accompagnati da atti concreti possono fungere solo da arredo iconografico nelle stanze di chi ad essi si ispira.
La si smetta, pertanto, di dare voce a coloro che parlano a vanvera e offendono l’intelligenza del prossimo facendo seguire “ma” o “però” alle ipocrite asserzioni di solidarietà al popolo ucraino. “L’Ucraìna è stata aggredita e ha il diritto di difendersi, ma…”; “Io sto dalla parte del popolo ucraìno, però bisogna perseguire la pace smettendola di mandare armi”. Sul prezzo da pagare per ottenere la pace si tace o si dicono sciocchezze. A questi diffusi concetti se ne associano altri ancora più osceni, protesi a trasformare le vittime in carnefici e viceversa. Basta con queste pagliacciate. Non si dia proprio voce ai mistificatori e si rispetti chi combatte e muore anche per noi, unitamente ai milioni di connazionali scappati in tutta Europa per sfuggire alla ferocia di soldati educati all’odio.
Si parli solo “di cosa fare” e di “come farlo”, senza perdere tempo nello sciocco dietrologismo proteso ad accusare alleati con i quali si deve cooperare in stretta armonia per aiutare l’Ucraìna a vincere sul campo, perché lo hanno capito anche al di fuori della Via Lattea che non esistono alternative. I contrasti interni, come scritto innanzi, che sono tanti e nessuno vuole obnubilare3, vanno rimandati. Ora vi è altro a cui pensare.
Si sta cincischiando troppo con le forniture di armi, di là dalle continue belle parole pronunciate nei palazzi del potere, cadendo in una contraddizione di termini che non può reggere a lungo: se si sostiene che non vi possono essere trattative con un forte sbilanciamento di forze; che la Russia va fermata “militarmente” perché se le si lasciasse campo libero crollerebbe tutto il sistema mondiale, bisogna consentire subito all’esercito ucraìno di difendersi “adeguatamente” e contrattaccare, se necessario. Basta coi giochetti diplomatici sulle tipologie delle armi da inviare, che non incantano nessuno. Chiunque capisca di geopolitica e di strategia militare non teme l’escalation nucleare; l’unica paura è quella dei politici che tentennano per non inimicarsi gli elettori, in massima parte disorientati, confusi e spaventati, che però vanno compresi: l’ignoranza e la buona fede non sono reati. Compresi, quindi, ma non assecondati.
La NATO non può intervenire direttamente e questo è pacifico. Gli USA giocano la loro partita nel rispetto “soprattutto” delle esigenze interne e anche questo è pacifico. Vogliamo continuare a scannarci su questi argomenti dando fiato ai mestatori? Facciamolo, ma sia ben chiaro che ogni minuto di chiacchiere costa vite umane al popolo ucraìno. E sia detto con non minore afflato emotivo, vanno pianti anche i tanti militari russi “costretti” a combattere e a morire loro malgrado e con sommo rammarico, perché non tutti i russi sono fanatici.
Gli Stati Uniti d’Europa sono una chimera, per ora, ma vogliamo almeno organizzare un esercito europeo “parallelo” alla NATO, composto da sezioni delle forze d’élite di ogni Paese, includendo anche quelli non aderenti all’Unione Europea, guidato da un unico stato maggiore? Putin ha avuto una bella lezione nel momento in cui riteneva di trovarci divisi e pronti a lasciargli fare strame dell’Ucraìna. La lezione, però, evidentemente, non è ancora sufficiente a farlo desistere dai suoi propositi: ci vede ancora troppo deboli e battibili. O gli facciamo cambiare idea in fretta o saremo costretti davvero a lasciargli campo libero in Ucraìna e chissà dove altro ancora, dopo.
Davvero si vuole correre questo rischio? Risorgi, Europa e datti una mossa, prima che sia troppo tardi. Slava Ukraïni.
NOTE
- Nel famoso film interpretato e diretto da Mel Gibson l’esecuzione fu rappresentata con la mannaia e non tramite impiccagione. Sono almeno una dozzina le incongruenze storiche presenti nel film, ma nessuna di essa altera la sostanza del dramma patito dal popolo scozzese sia per gli effetti della dominazione sia per le debolezze umane di chi si vendette agli inglesi per personale tornaconto.
- Nella notte dell’invasione una squadra dei reparti speciali russi fu paracadutata nei pressi del Palazzo del Governo per catturare e uccidere Zelensky e la sua famiglia. L’attentato fu sventato per un pelo. Il giorno dopo registrò il famoso video messaggio con il quale disse al mondo che sarebbe rimasto a Kyiv, avendo rifiutato l’invito dei governi inglese e statunitense a mettersi in salvo e istituire un governo in esilio. Successivamente dichiarò che in quel momento acquisì la consapevolezza del suo ruolo nella guerra: «Capisci che stanno guardando. Sei un “simbolo”. Devi agire come deve agire il capo dello Stato». (Spunti tratti da “Il Messaggero – 29 aprile 2022)
- Avrò consumato, nell’ultimo mezzo secolo, almeno un migliaio di pagine per descrivere il “male americano” in tutte le salse; lo stesso dicasi per l’Inghilterra, anche in epoca recente (“Storia d’Irlanda” pubblicata a puntate nel mensile Confini a partire da giugno 2022 e non ancora ultimata); per quanto concerne la Turchia, basti dire che amerei tanto rivisitarla, mancandovi da oltre trenta anni, ma i troppi articoli a favore di armeni e curdi… intelligenti pauca. Oggi bacerei le mani a Biden e ai tre Capi di governo che si sono succeduti in Inghilterra nell’ultimo anno, esortandoli a fare ancora di più, senza che ciò influenzi minimamente le considerazioni afferenti ad altri momenti, recenti e meno recenti. Questo esercizio di differenziazione, ancorché difficile, dovrebbe essere compiuto da tutti gli analisti. Chi non vi riesce, anche se in buona fede, disorienta l’opinione pubblica, facendo più danni dei complici del tiranno, facilmente smascherabili e tacitabili.