MUSTAFA IL SENESE

Ci sono due giovani pesci che nuotano e a un certo punto incontrano un pesce anziano che va nella direzione opposta, fa un cenno di saluto e dice: «Salve, ragazzi. Com’è l’acqua?». I due pesci giovani nuotano un altro po’, poi uno guarda l’altro e fa: «Che cavolo è l’acqua?». (David Foster Wallace – discorso ai neo-laureati del Kenyon College di Gambier, nell’Ohio, pubblicato da Einaudi nel 2009: “Questa è l’acqua”).
Una volta Piero Buscaroli mi disse: «Se ti rendi conto che le prime parole di un articolo non sgorgano in pochi secondi, non scriverlo quell’articolo». In questi ultimi tempi mi capita spesso di scrivere con fatica, avvertendo la sensazione di essere un vecchio pesce che parla a pesciolini che non hanno ancora capito di essere in acqua. E’ giunto il momento, quindi, di cambiare registro narrativo.

Nel numero di CONFINI di questo mese (114) inauguro un nuova rubrica: “Cronache di un cavaliere errante”. Un viaggio attraverso i ricordi, ma non solo, senza rinunciare a guardare con la solita attenzione ciò che condiziona la nostra vita, nel bene e nel male. Cambiano solo le modalità espositive ma resta intatto lo spirito che, da sempre, anima ogni scritto. Non a caso la rubrica sarà firmata con lo pseudonimo scelto agli esordi dell’attività giornalistica, nel lontano 1972. Gli fa da supporto la spada magica che mi accompagna nell’incedere lungo i sentieri della vita, per ricordarmi in ogni momento che a un cavaliere errante non è concessa alcuna deroga dal percorso obbligato e che, al cospetto di due strade che divergono in un bosco, dovrà sempre scegliere la meno battuta. Ora come allora, e in futuro, sarà questa scelta a fare tutta la differenza.

Il primo articolo è dedicato a un giovane iracheno che conobbi a Siena, tanti anni fa.

*******

Mustafa nella campagna senese, 1984. (Archivio fotografico personale).

Ѐ proprio bella Piazza del Campo e chissà quale posizione occuperebbe in una classifica mondiale che tenesse conto degli stessi parametri valutativi. In rete se ne trovano tante: le venti piazze più belle del mondo, le quindici, le dieci. Nella prima non compare proprio ed è presente solo in alcune delle altre che ne prendono in esame un numero inferiore, ma non nelle primissime posizioni, a riprova che ciascuno ha espresso valutazioni meramente soggettive. Io la frequentavo spesso, durante i miei tre anni senesi, concedendomi deliziose e ritempranti soste con colleghi o avvenenti fanciulle al bar ubicato alla base del Palazzo dei Pannocchiesi d’Elci. Dopo qualche mese, però, durante i quali ebbi modo di approfondire la storia della città, mi trovai in un labile imbarazzo che può anche apparire ridicolo, ma che cito contando precipuamente sulla sensibilità comprensiva dei dotti lettori di CONFINI. Il palazzo fu costruito dalla famiglia nobiliare Alessi, originaria di Roma ma appartenente alla nobiltà siciliana, per poi essere ceduto ai Cerretani Bandinelli Paparoni,  giunti in Italia al seguito di Carlo Magno, tra i cui discendenti figura Papa Alessandro III. I Bandinelli lo cedettero a loro volta ai conti Pannocchiesi d’Elci, che pure possono vantare una nutrita messe di vescovi, arcivescovi e cardinali. Sembra che potessero acclarare radici longobarde, ma la notizia non trova certificazioni attendibili e quindi su questo effimero pregio  – nessuno ha meriti per le sue radici ma solo per come vive – si può tranquillamente sorvolare. In pratica prendevo il caffè in un palazzo con merlatura guelfa (sommità squadrata) che, durante la feroce lotta tra Guelfi e Ghibellini, era appartenuto a convinti sostenitori dei primi; i palazzi ghibellini, invece, hanno la merlatura a “coda di rondine”. Tutte cose che la mia ignoranza in storia dell’arte e strutture architettoniche non mi consentirono di cogliere alla vista, ma solo dopo gradevole e opportuno studio. Troppo per un cultore del simbolismo che, in ogni circostanza, deve sempre associare armonicamente il sostanziale al formale, pena un inutile fastidio. Per esempio non bevo i vini di alcune regioni, ancorché pregiati, solo perché potrebbero essere prodotti da soggetti collusi con organizzazioni criminali: quando stappo una bottiglia di vino, infatti, il piacere della degustazione – senza mai esagerare, sia ben chiaro – scaturisce da un insieme di fattori tra i quali la territorialità e lo stile del produttore hanno una rilevante importanza.

Apprese le succitate notizie, pertanto, mi spostai di pochi metri, nel bar sovrastato dal Palazzo Sansedoni, la cui merlatura gotica sicuramente meglio si confaceva al mio retaggio ancestrale e a  ogni altra componente dell’essere e del divenire.

Fu proprio grazie a questo “trasferimento” che ebbi modo di conoscere Mustafa. Nelle prime frequentazioni del bar era un dipendente come un altro, che serviva le consumazioni ai tavoli. Non sempre toccava a lui occuparsi di me e dei miei amici, ma quello stile tutto particolare nel servire i clienti, l’ampio sorriso perennemente stampato sul volto, a differenza di chi chiaramente lasciava trasparire stanchezza fisica e morale (nel bar praticamente non esiste un solo attimo di pausa dall’apertura alla chiusura), lo rendevano un soggetto interessante. Era uno che si faceva notare, insomma. Baffetti neri, sembianze somatiche e qualche parola scambiata durante le ordinazioni mettevano bene in evidenza l’origine extraeuropea. In quel periodo mi divertivo molto, con amici e colleghi, a tentare di individuare il Paese di provenienza dei tanti stranieri che circolavano per Siena, osservando il loro aspetto. Si scommetteva il costo della comunicazione e dopo aver espresso il proprio parere uno di noi chiedeva alla persona presa di mira da dove venisse, in modo da sancire il vincitore. Ero abbastanza bravo in una decriptazione pregna di empirismo, che sfruttava molto l’elemento di esclusione anziché puntare direttamente all’individuazione del Paese, come tentavano di fare i miei amici. Nondimeno gli errori erano comunque tanti e sbagliai anche con Mustafa, sia pure di poco, quando decidemmo che era giunto il suo turno:  lo presi per un iraniano e invece era un iracheno. Dopo avergli rivelato il perché della richiesta si instaurò un clima più confidenziale, condizionato non solo dalla curiosità verso un soggetto proveniente da un’area molto particolare del Pianeta, per di più in piena guerra (eravamo nel 1983 e l’Irak aveva invaso l’Iran già da tre anni), ma anche da motivi prettamente professionali, lavorando presso l’Ufficio stranieri della locale questura. Essendo praticamente impossibile scambiare più di qualche semplice battuta durante l’orario di lavoro, lo invitai a cena nel ristorantino che frequentavo solitamente,  “Il Cane e Gatto”, con il cui proprietario avevo stretto un solido legame di amicizia.

Ebbi modo di apprendere, quindi, che Mustafa era scappato dall’Iraq allo scoppio della guerra, giungendo in Italia con canali regolari, passando per la Giordania. Si era iscritto alla facoltà di Farmacia, scegliendo il corso di studi che avrebbe voluto seguire in Iraq, senza considerare le difficoltà che avrebbe incontrato in funzione della scarsa conoscenza della lingua. Dopo il primo anno, infatti, non riuscì a sostenere il numero di esami sufficiente a garantirgli il permesso di soggiorno e pertanto viveva da “clandestino”, per giunta lavorando irregolarmente in un rinomato locale cittadino. In più era stato considerato disertore in patria, non essendosi presentato all’atto della chiamata per sottoporsi al periodo di addestramento propedeutico all’invio al fronte. La condanna prevedeva la pena di morte.

Si può ben immaginare la sua reazione, pertanto, quando gli rivelai il mio ruolo. Si era aperto con me senza chiedermi cosa facessi e presumendo che fossi uno dei tanti meridionali che lavoravano a Siena. Non indossavo una divisa da poliziotto, facendo parte dell’Amministrazione civile del Ministero dell’interno, e quindi lungi da lui il pensiero che potessi prestare servizio in questura e proprio nell’ufficio che rilasciava i permessi di soggiorno! Sbiancò in viso, ma fui tempestivo nel rassicurarlo. «Non devi preoccuparti – gli dissi – farò di tutto per aiutarti. E togliti dalla testa che sarai rimpatriato in Iraq. Non accadrà mai». Riprese colore e mi strinse forte le mani. Mi disse che guadagnava bene e che aiutava la famiglia in Iraq, alla stregua di tutti gli altri stranieri che erano riusciti ad inserirsi nel tessuto sociale locale.

Il giorno successivo, quando fui convocato dal questore per la routinaria riunione mattutina, gli raccontai tutto, senza tralasciare alcun dettaglio e facendo leva soprattutto sul fatto che in caso di rimpatrio sarebbe stato giustiziato. Il Questore mi guardò a lungo, sorridendo sornionamente, prima di replicare con tono perentorio: «Almeno questa volta mi sottoponi problemi seri!» (Dava il “lei” a tutti ed io ero il solo a godere il privilegio del “tu”). La frase aveva una sua logica: a Siena vi erano molte studentesse greche che, all’atto della richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno, non avevano i giusti requisiti (almeno tre esami sostenuti nel corso dell’ultimo anno accademico). Alla contestazione iniziavano a piangere asserendo che il loro unico scopo era trovare un buon marito e restare in Italia. Ovviamente non mi permettevo di assumere alcuna decisione e correvo subito dal questore, che sempre si metteva le mani nei capelli, essendo diventata la questione alquanto insostenibile per la frequenza con cui gliela sottoponevo. 

Per Mustafa fu subito avviata la pratica per la concessione dell’asilo politico e così poté serenamente dedicarsi al lavoro, avendo abbandonato il sogno della laurea in farmacia. «Da oggi sono Mustafa il senese», esclamò quando gli fu comunicata la notizia, sprizzando gioia da ogni poro della pelle.

Chissà dove sarà ora. E quante cose sono cambiate da allora.

Pubblicità

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.